Intervista: Chris Tadeo

Poiché il tema generale di questo blog è quello dell’Arte, ho pensato di contribuire facendo un riferimento al festival di Arte e Cultura che ogni anno organizziamo nel paese in cui sono cresciuta, San Potito Sannitico. Il nome del festival è “FateFestival”. Già dal nome (che in realtà ha vari significati), si può capire che il senso è quello del fare “arte”, partecipando. L’anno scorso, infatti, abbiamo ospitato molti artisti da ogni parte del mondo e con loro abbiamo contribuito alla loro Arte, qualunque essa fosse, dalla fotografia alla pittura, rendendo il nostro piccolo paese una sorta di “museo all’aperto”.

(Per farti un’idea del nostro festival, clicca qui—>Arte partecipata con Mono Gonzalez)

In particolare, uno degli ospiti della scorsa edizione è stato un fotografo spagnolo, Chris Tadeo, il quale, però, lavora in analogico. Aiutare Chris a scattare foto è stata per me un’esperienza molto particolare: ricordo ancora il pomeriggio in cui andammo a fare foto, ma di foto non ne vedemmo neanche una. Le scattavamo e ci scivolavano addosso: non avevamo modo di rivederle… e siamo rimasti tutti col fiato sospeso ad aspettare il momento dello sviluppo per avere un ricordo di quel pomeriggio.
Sono riuscita a rimettermi in contatto con Chris, gli ho spiegato dell’idea e dell’obiettivo di questo blog e gli ho chiesto di potergli fare un’intervista. Poiché lui vive nelle isole Canarie, ci siamo sentiti su Skype: sarebbe stato infatti impossibile incontrarsi. Trascrivendo la sua testimonianza, mi sono resa conto di quanto sia stata preziosa e interessante per me, e di quanto le sue parole lascino davvero un sapore di poeticità a un’arte che, ultimamente, viene sempre meno considerata un’arte nel vero senso della parola. È bello sapere che nel mondo esiste ancora chi riesce a viverla in maniera così “genuina” e ne approfitto per ringraziare Chris per la sua infinita disponibilità.

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Chris Tadeo (in fondo a destra) a San Potito durante il Festival. Foto scattata da Giorgiana Fossa

Buona lettura!

Tu hai studiato fotografia?

“No, tutta la fotografia che ho imparato l’ho imparato da solo, sono stato io a sviluppare questa “capacità”. Io, con i miei amici, avevo un apparato fotografico e ho iniziato semplicemente a fare le foto. Poi quando abitavo in Svizzera ho comprato una fotocamera proprio analogica, un fish eye, e mi è piaciuto tantissimo e ho deciso di usare solamente pellicole, di fare foto analogiche. Ma tutta la fotografia l’ho imparata da solo.”

Le sviluppi tu o lo fai fare a qualcun altro?

“Adesso non posso svilupparle perché non ho la camera oscura, ma a Las Palmas lo faccio io. Bianco e nero. A colori non ho mai provato ma è veramente difficile. Bianco e nero va bene per me. Quando voglio fare qualcosa a colori faccio sviluppare i rullini in negozio.”

Non hai mai provato la fotografia digitale o l’hai provata e non ti è piaciuta?

“Entrambe. L’ho provata perché ho cominciato con la fotografia digitale ma per me non era sufficiente. Per me era qualcosa di troppo rapido. Non mi piaceva, perché avevo un risultato all’istante e scattavo

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Foto di Chris Tadeo – Distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 internazionale

tantissime foto e quello non mi faceva felice perché non potevo godere del momento. L’analogico era qualcosa di diverso. Non so, la mia fidanzata faceva foto analogic
he e anche per questo ho deciso di tentare e mi è piaciuto. Mi piaceva perché era qualcosa di sperimentale e perché quella fotocamera che avevo io mi permetteva di non controllare il 100% di quello che facevo. Quello che scattavo non era 100% quello che io volevo. C’era un 50% controllato e un 50% non controllato e questo mi è piaciuto tantissimo perché c’era un elemento di… sorpresa. Ma a me interessava piuttosto quello che potevo fare io con la fotografia, visto che era qualcosa che si poteva toccare, che potevo avere in mano. Però… questo è il pensiero che avevo prima di questi anni. Al momento il mio pensiero è molto diverso.

Ho cominciato a pensare che la fotografia analogica mi faccia più felice perché non posso vedere la foto che ho scattato. Sono felice quando scatto la foto e dimentico il momento e dopo averla sviluppata lo ricordo ancora una volta. E quando la sviluppo io, per me quello diventa una maniera di sentire che quella foto sia veramente mia, che mi appartenga. Penso ci sia un elemento magico quando sei in camera oscura, e sei felice con il processo piuttosto che con il risultato. Il risultato mi interessa ma per me non è l’elemento più importante. Per me il processo è più importante, insieme agli errori. Penso che la lezione più grande che mi abbia dato la fotografia sia proprio sugli errori: bisogna essere felici di un processo e saper scegliere gli errori visto che sono anche un’altra maniera di aspettare e di scattare quello che ti interessa. Sono anche un’altra maniera di trovare quello che cercavi. All’inizio, quando sbagliavo qualcosa, non sapevo cosa fare ma dopo un po’ mi sono reso conto che commettere errori fosse qualcosa di importantissimo, perché normalmente pensiamo che gli errori vadano buttati via e che se scattiamo una foto non puramente bella allora dobbiamo buttarla

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Foto di Chris Tadeo – Distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

(possiamo anche parlare di bellezza in foto ma non è il tema oggi). Io sono convinto del fatto che ci siano elementi belli negli errori in fotografia, così come nella vita. Quando ci innamoriamo di qualcuno, amiamo anche gli errori e le imperfezioni di quella persona, e questo funziona anche nella fotografia, e nella vita… e la fotografia è vita. Non so, gli errori mi rendono veramente felice perché mi fanno essere più sincero con me stesso e anche perché mi fanno vedere che non tutto può diventare una bella foto, anzi… una foto strana molto spesso può raccontare o far pensare a qualcuno. Penso che questo sia qualcosa che solo l’analogico possa dare, soprattutto nel processo dello sviluppo, perché è tanto costoso non solo economicamente ma anche a livello di sforzo personale. Una volta ho perso 6 rullini di 36 foto, cercando di svilupparli. Dopo quell’esperienza ho pensato di lasciar stare la fotografia, ma ora, ripensandoci, riesco a dare più valore alle mie foto, anche perché quando puoi fare solo un determinato numero di foto (36 nei rullini), sai che ne hai solo 36 per fare tutto quello che tu vuoi. Può essere meno ma non di più. Anche i rullini da 12 foto mi piacciono molto, proprio perché con quelli devi pensare a cosa fare, devi prendere più tempo ed è tutto più rilassato, è un esercizio di pause, di attenzione e di riflessione, e tutto ti porta ad avvalorare la tua foto. Penso soprattutto che a quel punto diventi una relazione di rispetto. Suona un po’ strano ma penso sia una relazione di rispetto: ogni giorno possiamo fare tantissime foto digitali, ma in questo modo la foto in sé perde valore.

 

C’è anche da dire che è vero che con la digitalizzazione delle foto quest’arte sia diventata più democratica: tutti possiamo averne accesso, questo è vero. Ho fatto solo un lavoro in digitale e mi è piaciuto tantissimo, ma penso che con la fotografia analogica io mi senta più a mio agio, in particolare con quella stenopeica. Quello che mi piace

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Foto di Chris Tadeo – Distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

è che non controllo tutto. Si può fare, so come farlo, ma non voglio farlo. Mi piace, perché a volte non prendo molto tempo a fare ipotesi. Penso di essere un fotografo piuttosto istintivo perché ho un’idea e la faccio, perché a me… del risultato finale non me ne frega un cazzo veramente. È importante anche quello, ma penso che la bellezza sia nella storia che vuoi raccontare che vuoi trasmettere e che la foto ti fa raccontare A TE STESSO, perché alla fine raccontiamo anche a noi stessi. E soprattutto, le storie devono essere sincere. Comunque, anche se io preferisco l’analogico, rispetto chi fa foto in digitale. Per quanto riguarda l’analogico, comunque, penso sia importante perdere tantissimo tempo nella camera oscura e passare anche brutti momenti perché sono anch’essi parte del processo. Perché è vero che nell’attualità è più facile e più rapido usare una fotocamera digitale, ma penso che non dobbiamo concentrarci sulla quantità o sulla qualità della foto, ma soprattutto sulla sincerità con la quale si porta a termine un proprio progetto e sulla sincerità con cui si fanno le foto… infatti io non faccio post produzione, perché penso che le foto siano meglio senza ritocchi.

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In generale, la fotocamera io la porto sempre con me e c’è una frase a riguardo che mi fu detta da un fotografo di Magnum, Antoine D’Agatha, quando feci un corso con lui. Mi disse che lui fa le stesse cose tutti i giorni, se prende la camera con sé o se non la prende. Voglio dire… io porto la fotocamera sempre con me, se vado ad una festa la porto con me, se vado al supermercato, la porto con me. Perché non sai quando arriva il momento e devi essere sempre pronto perché il momento viene a te e tu devi sapere come affrontarlo e come catturarlo.”

 

 

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Piera

 

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